A BergamoFestival si parla di lavoro post-covid. Ivana Pais: “Si sono aperti scenari inediti. Lo smart working non sparirà”

BergamoFestival si svolge dal 2 al 4 luglio all’ex monastero di Astino. Leggi qui tutto il programma e prenota la partecipazione agli eventi. Gli incontri si possono seguire anche da remoto collegandosi ai canali social della manifestazione. Segnaliamo che tutti gli incontri del 4 luglio, a causa delle previsioni di maltempo, sono stati trasferiti al Centro Congressi Giovanni XXIII di viale Papa Giovanni XXIII a Bergamo. Leggi anche la nostra intervista a Susanna Camusso.

“Il lavoro di domani. L’urgenza di provare a immaginarlo” è il tema attualissimo dell’incontro presso il Monastero di Astino del 4 luglio alle ore 18, nell’ambito del Bergamo Festival 2021, che vedrà protagoniste Ivana Pais e Susanna Camusso, intervistate dalla giornalista Francesca Ghiraldelli.

Abbiamo intervistato Ivana Pais, sociologa dei Processi economici e del lavoro, e docente all’Università Cattolica di Milano.

Dottoressa Pais, quando parliamo di economia “di piattaforma”, a che cosa ci riferiamo? 

«Con economia di piattaforma si fa riferimento al diffondersi di un modello di organizzazione della produzione e dell’erogazione di beni di servizio basato su piattaforme, che da un lato sono forme digitali ma dall’altro un modello organizzativo nuovo, che sostituisce e di fatto diventa complementare ai modelli conosciuti finora. Quindi, con l’economia “di piattaforma” si fa riferimento al fatto che le aziende piazzate su piattaforme digitali sono diventate sempre più importanti nella nostra economia e nella nostra società. Si pensi che le prime sette aziende per capitalizzazione finanziaria, guardando quelle quotate, sono tutte su piattaforme digitali. Inoltre, la piattaforma è diventata un modello in base al quale si organizza la produzione e l’erogazione di beni di servizio nella nostra società. Sempre più usiamo piattaforme nella nostra vita per accedere a qualunque bene e servizio, pensiamo ad Amazon, quindi possiamo asserire che ormai le piattaforme sono pervasive nella nostra quotidianità». 

Lo smart working dopo il Covid è destinato a rimanere. Molte aziende hanno già firmato accordi aziendali per il lavoro agile dopo l’emergenza. Come sarà? 

«In questo momento è difficile fare previsioni ma una cosa è certa: l’esperienza del lavoro in remoto in questo anno e mezzo ha fatto scoprire questa modalità di organizzazione del lavoro sia ai lavoratori sia alle aziende. Tutti, così, hanno potuto sperimentare e individuare punti di forza e limiti di questa modalità, per cui abbiamo sempre più lavoratori che chiedono di poterla usare almeno in parte. Lavorare in remoto rappresenta dei vantaggi per la loro organizzazione nella vita quotidiana e al tempo stesso le aziende sono interessate a muoversi in questa direzione, perché anche loro hanno riscontrato alcuni vantaggi. Tutto si gioca rispetto alle previsioni sugli equilibri che si andranno a determinare. Ci si sta muovendo nel senso in cui il lavoro in remoto sarà sicuramente più importante rispetto a quello che è stato pre pandemia, eviterei la lettura di scenari radicali che profetizzano al 100% il lavoro da remoto». 

Il lavoro agile piace ai dipendenti o lavorare da casa ha i suoi difetti, semmai soprattutto per l’occupazione femminile? 

«Ai dipendenti piace senza dubbio la flessibilità, l’organizzazione degli spazi e dei tempi di lavoro, questo soprattutto per chi ha compiti di cura e in Italia si tratta quasi esclusivamente di donne. Non bisogna confondere l’organizzazione del lavoro da remoto dei lunghi mesi di lockdown e un’organizzazione più flessibile degli spazi e dei tempi di lavoro, che non significa necessariamente lavorare da casa. Le sperimentazioni in corso più interessanti, a mio parere, sono quelle che provano a individuare altri luoghi di lavoro, che non siano la casa, la quale, non sempre è funzionale al lavoro. Quindi queste sperimentazioni riguardano luoghi dedicati al lavoro più vicini alle abitazioni dei dipendenti. Spazi di Coworking e condivisione da parte di aziende diverse, sono queste le soluzioni più interessanti, perché mantengono l’idea di un luogo di lavoro rispettando le esigenze di flessibilità aziendali e dei lavoratori». 

I cambiamenti sociali, economici e tecnologici nel Vecchio Continente hanno dato vita a nuove forme di occupazione in tutta Europa. Molte di queste sono estremamente diverse dal lavoro tradizionale in quanto trasformano la tradizionale relazione uno-a-uno tra datore di lavoro e dipendente, oltre a essere caratterizzate da schemi di lavoro e luoghi di lavoro non convenzionali. Ce ne vuole parlare? 

«La sperimentazione di questi nuovi luoghi di lavoro finora è stata limitata quasi esclusivamente ai lavoratori free lance, i quali non avendo un’azienda e quindi un ufficio, e avendo già sperimentato i limiti del lavoro da casa, cercavano un luogo per lavorare che avesse determinate caratteristiche e rispondesse a particolari esigenze. La novità di questi ultimi mesi è che i lavoratori free lance hanno iniziato a sperimentare questi nuovi luoghi di lavoro con la possibilità di farli ripensare anche per i lavoratori dipendenti. Questo è veramente inedito». 

E quali sono le nuove forme di reclutamento? 

«I canali digitali vengono utilizzati per reclutare e in qualche caso selezionare lavoratori. Questo è un processo che è in corso da tanti anni, da quando ci sono i social network, da quelli più ludici, come Facebook, a quelli professionali, come Linkedin. Chi recluta personale utilizza questi strumenti per individuare ed entrare in contatto con i lavoratori. Questi strumenti sono particolarmente efficaci per la ricerca di persone non sono attive dal punto di vista della ricerca di lavoro. Queste persone non mandano un curriculum vitae, non si candidano per una posizione lavorativa, però avendo un profilo su Linkedin chi fa selezione del personale può individuare il profilo e fare loro un’offerta. Questo è un aspetto dirompente rispetto ai metodi tradizionali del mercato del lavoro».