Arsenico e vecchi merletti: un grande classico in scena al Teatro Donizetti

Foto di Benedetta Folena

Ci sono due signore del teatro italiano, Anna Maria Guarnieri e Marilù Prati sul palcoscenico del Teatro Donizetti da martedì 1 a domenica 6 febbraio (spettacoli serali con inizio alle 20,30, domenica pomeriggio alle 15,30) per il terzo appuntamento della Stagione di Prosa. In scena un grande classico “Arsenico e vecchi merletti, testo di Joseph Kesselring tradotto fra l’altro in film da Frank Capra nel 1944, con Cary Grant nella parte del protagonista Mortimer Brewster. È un testo brillante, una “commedia nera”. La regia dello spettacolo in arrivo al Donizetti è di Geppi Gleijeses, nel cast ci sono anche Maria Alberta Navello, Leandro Amato, Totò Onnis, Luigi Tabita, Tarcisio Branca, Bruno Crucitti, Francesco Guzzo, Daniele Biagini, Lorenzo Venturini. Scene di Franco Velchi. Costumi di Chiara Damato. Musiche di Matteo D’Amico. Artigiano delle luci Luigi Ascione. Produzione GITIESSE Artisti Riuniti. Durata 2 ore e 15 minuti senza intervallo. Biglietti da 15 a 38 euro; ridotti da 12 a 30 euro. 

Arsenico e vecchi merletti: un classico sempre attuale

Pur essendo stato rappresentato infinite volte, dalle prime repliche a Broadway fino ai teatri di tutto il mondo, questo testo non perde mai freschezza e attualità. Mette al centro i rapporti familiari, giocando sui paradossi, a partire da una situazione “estrema” e poco realistica: le protagoniste sono due anziane dall’apparenza affettuosa e innocente che celano l’anima oscura di consumate serial killer. Quando Mortimer, scapolo d’oro convertito al matrimonio, torna a casa per presentare la sposa alle due zie Abby e Martha, scopre infatti che le due donne uccidono col veleno gli ospiti della loro pensione, e li seppelliscono in cantina con l’aiuto del fratello Teddy, convinto di essere Theodore Roosevelt. Mortimer perde completamente le speranze quando torna anche l’altro fratello Jonathan, pluriomicida, con un cadavere di cui sbarazzarsi. Quando ormai si è convinto di avere ereditato i geni di una banda di efferati pazzi maniaci un colpo di scena finale lo salva, consegnandogli la libertà di essere come gli pare.

La stessa regia del maestro Mario Monicelli

Geppi Gleijeses ha ripreso la regia del grande Mario Monicelli e a lui dedica lo spettacolo. Racconta lo stesso Geppi Gleijeses: «Nel 1992, da una delle migliaia di stanze d’albergo in cui ho soggiornato in una delle mie tante tournée, ebbi la sfacciataggine di telefonare a Mario Monicelli per proporgli la regia di Arsenico e vecchi merletti. Mi disse subito di sì, senza esitazioni. Era la sua prima vera regia teatrale e fu l’inizio di un grande sodalizio. Lo spettacolo fu uno straordinario successo. Masolino D’Amico curò la traduzione che anche oggi adottiamo. La scena era di Franco Velchi e qui, con alcuni importanti cambiamenti studiati con Michele Gigi, la riproponiamo, come i costumi che ora come allora erano e sono (con varie modifiche) di Chiara Donato, e come le musiche di Matteo D’Amico. Le luci, fondamentali, all’epoca firmate da Sergio Rossi sono oggi, decisamente diverse, dell’artigiano della luce Luigi Ascione, da più di vent’anni mio complice. Le due ziette erano Regina Bianchi e Isa Barzizza: meravigliose. Ma questo è certamente un altro spettacolo, diverso per stile e per tipo di approccio».

La commedia brillante, un genere quasi dimenticato

Prosegue il regista, attore, drammaturgo e produttore napoletano: «È difficile catalogare, inserire in un genere Arsenico e vecchi merletti. Non è una farsa macabra, né una satira del giallo. Appartiene certamente a una tipologia di commedia da noi poco praticata e di cui non abbiamo riscontri autoriali: “il Brillante”. Ci potrebbero forse sovvenire autori come Aldo De Benedetti, o Sabatino Lopez, frequentati ormai pochissimo ma in auge verso la metà del secolo scorso, qualche rara perla di Luigi Pirandello (Ma non è una cosa seria) o di Diego Fabbri (La Bugiarda).

Il motivo: per tradizione autoriale o eredità diretta, i nostri generi sono tragedia e farsa. E la nostra farsa discende dai rami della Commedia dell’Arte. Io ho dedicato tante stagioni della mia carriera a questo genere così poco coltivato dai nostri autori, attori, registi. 

Ho interpretato Feydeau, Noel Coward, George Bernard Shaw, Oscar Wilde. Ed accanto a loro ricorderei Labiche, Kaufman e Hart e, più vicini a noi, Neil Simon, Michael Frayn e una delle tante facce di Woody Allen. Ma tanti anni fa avevamo molti straordinari attori specializzati nella commedia brillante: pensiamo a Sergio Tofano, Ernesto Calindri, Sara Ferrati, Franco Scandurra, Franco Volpi, Rina Morelli, Dina Galli… E poi Arnoldo Tieri, Alberto Lionello e Johnny Dorelli.

Oggi potremmo pensare a Maurizio Micheli, Angela Finocchiaro e pochissimi altri. Eppure, questo genere da noi quasi dimenticato ci ha donato delle perle rare se non rarissime. La catalogazione impossibile dell’opera oscilla per me tra Dark Comedy e Giallo-Rosa. Ma non è poi così importante. Il suo autore, Kesselring, ci ha regalato quest’unica perla, ma veramente preziosa».