Diario di viaggio in Eritrea sulle tracce del vescovo missionario Luca Milesi. Nel campo profughi

Donna con bambino eritrea

Lunedì 4 marzo: Tocombìa, Adiberberé e Adikascì

Don Giuseppe celebra la messa alle ore 7.30; la meditazione sul lebbroso ci insegna che Gesù, anche se non è accettato, non sta lontano da noi.

Dopo colazione, accompagnati da Adé Mariàm, partiamo per Tocombìa, Adiberberé e Adikascì, tre villaggi distanti una trentina di chilometri da Barentù. 

Lungo la strada vediamo i teli azzurri del campo profughi di Dellé, che ospita gli eritrei fuggiti dai villaggi invasi dall’esercito etiopico. Attualmente ospita circa 20 mila profughi dei 40 mila che vi si trovavano in precedenza.

È la zona delle palme che producono la palma dum, un frutto che sembra un pezzo di legno, che i bambini rosicchiano continuamente con i loro denti bianchissimi e forti. I baobab si innalzano come fantastiche creature solitarie nella scarsa vegetazione. Qui facciamo il primo incontro con le scimmie allo stato selvatico: sono scimmie abissine, della famiglia dei macachi, che saltano veloci di ramo in ramo sugli alberi che costeggiano la strada. 

Durante il tragitto Adé Mariàm ci racconta che gli animali selvatici si sono allontanati dalla zona a causa dell’odore dello zolfo provocato dallo scoppio delle bombe. La zona è frequentata dai missionari solo dal 1995, per iniziativa di monsignor Luca. Durante la guerra era molto pericoloso muoversi, a causa dei possibili agguati dei guerriglieri.

Dopo un po’ attraversiamo il letto prosciugato del fiume Mareb, chiamato nel bassopiano Gasc; ai suoi bordi ci sono i resti di una fornace di calce e le cave abbandonate di un giacimento d’oro non più sfruttato.

Prima di Tocombìa, vediamo alla nostra sinistra sette enormi tettoie di paglia con sotto centinaia di studenti: sono gli scolari della zona. Li fotografiamo dall’auto, ma non ci fermiamo.

Arriviamo a Tocombìa alle 10.15. Vicino alla chiesa incontriamo un missionario che sta armeggiando attorno alla sua Toyota. Porta il nome dell’antico imperatore dell’Etiopia; Ailé Selassié (la Madonna sia la tua colonna). È di pelle scura come il saio che indossa, è giovane, ma il suo sguardo è molto profondo, certo per le difficoltà che deve incontrare ogni giorno. Ci mostra la chiesa che ha il soffitto bucato dai proiettili della guerra e le vetrate distrutte. Fuori la branda del custode notturno.

Lasciamo il missionario e con Adé Mariàm entriamo nel villaggio: è poverissimo, i tucul sono di bastoni, i recinti disordinati, le tettoie di plastica, fissate alla bell’e meglio. Adé Mariàm ci porta nel bar, all’interno di una palizzata, conosciamo la proprietaria, una bellissima vedova. Mi colpisce il suo abbigliamento, semplice ma di buon gusto, e in particolare il ciondolo d’oro a forma di bottone che porta al collo, il vestito bianco a rose rosse.

Ci prepara il tè, cuoce l’angera sulla piastra rovente e la serve con lo zighinì per i tre clienti che stanno mangiando all’interno del tucul.

Scattiamo alcune fotografie e poi veniamo inseguiti dai numerosi bambini, così decidiamo di acquistare in un negozietto un intero vaso di lecca lecca e li distribuiamo ai piccoli che appaiono assai contenti. 

Ritroviamo Ailé Selassié che ci porta ad Addiberberé (il paese del berberé), l’altra sua parrocchia, poco distante. La chiesa, che è in alto rispetto al villaggio, è un tucul poverissimo, i candelieri sono due scatole di tonno. All’esterno ci hanno raggiunto alcuni bambini che fotografiamo col missionario.

Poi andiamo da Lete Negus (Serva del re) una donna che gestisce un negozietto e che ha il marito molto malato; lo intravediamo sotto la tenda che lo ripara dal sole. Un parente della donna si preoccupa di noi: prende della casse di legno, le ricopre con delle coperte e ci fa sedere. Ci vengono offerte delle bottigliette di coca cola. Una bellissima bambina e una donna ci osservano in silenzio.

Adé Mariàm, che conosce la povertà di quella gente, acquista un paio di sandali al negozietto e lascia alla donna il resto.

Sulla via del ritorno a Barentù, vediamo sulle piante numerosi uccelli neri con i riflessi blu, ma un forte rumore ci costringe a fermarci: abbiamo forato! Per fortuna siamo seguiti da Ailé Selassié che sta venendo all’eparchia. Egli si leva il saio e grosso com’è si mette a trafficare sotto il fuoristrada, riuscendo a cambiare la ruota in una ventina di minuti.

La scuola di Barentù
La scuola di Barentù

Arriviamo all’eparchia verso le 14.00, il pranzo è pronto e io, che ho il vescovo Thomas alla mia destra, lo ascolto con interesse: i profughi nel Sudan erano circa 400 mila, ora ne sono rientrati circa 40 mila e preferiscono stabilirsi lì nel bassopiano perché è fertile. L’anno scorso alcuni avevano tentato una piantagione di cotone, costruendo una diga sul fiume Gasc, ma il progetto non è andato a buon fine. I giovani eritrei sono intraprendenti, ma purtroppo mancano i mezzi.

Dopo un breve riposo ripartiamo con Adé Mariàm per Addikascì (Paese del prete). Anche qui la chiesa è posta in alto rispetto al villaggio, costituito da un gran numero di tucul sparsi in una vasta area pianeggiante. Vicino alla chiesa c’è la casa di alcuni missionari comboniani. Conosciamo Giuseppe Louis, spagnolo, che si trova in terra d’Africa da 24 anni, metà trascorsi in Etiopia e metà in Eritrea. Ci conduce nella cucina e ci offre dell’acqua fresca.

Ha molta voglia di parlare con noi e si accalora quando racconta che è stato a un corso di aggiornamento a Roma che non gli è servito, perché, dice “i popoli africani sono spontanei, aperti di cuore, a loro non servono le preghiere formalizzate”, per cui avrebbe avuto più bisogno di imparare qualcosa di missiologia.

Louis vive qui con altri due missionari, uno è quel Paul, irlandese, che abbiamo conosciuto nei primi giorni a Barentù: egli vive da solo in due altri villaggi e raggiunge i confratelli una volta alla settimana.

Ripenso spesso a Paul, così estroverso, con una cultura irlandese, ma così solo. L’altro missionario rimane appartato.

Visitiamo la chiesa, che è stata dipinta la Louis con figure messicane.Nel ritorno il fuoristrada sobbalza per le numerose buche della strada. Vediamo piccoli gruppi di pastori e di bambini.

Sono ormai le 18.15 e il sole sta tramontando, tutto assume una colorazione dorata; don Giuseppe comincia a recitare il Rosario.

Dopo cena l’argomento cade sui battesimi che si svolgeranno domani a Mardane e a cui noi parteciperemo come madrine.

Ci sentiamo molte elettrizzate.

(continua)