Sguardo sul Beccaria: la fatica di educare anche in carcere

Con questo nome tutti conoscono il carcere minorile di Milano, uno dei più famosi d’Italia. Il luogo dove vengono reclusi minorenni che hanno compiuto delitti a volte gravissimi. Di certo, per chi l’ha anche solo velocemente sfiorato, non si tratta di un albergo sia per chi è deputato a lavorarvi, sia per chi fa esperienza di detenzione.

Ciascuno degli operatori viene da una propria storia e si ritrova a vivere, relazionare, confrontarsi con storie ancora più pesanti, di disagio, sofferenza e di ribellione. 

Per questo lavorare in questi luoghi diventa, nostro malgrado, non solo una professione ma anche una “missione”, a volte difficile se non impossibile. 


Ma le guardie, gli educatori, gli psicologi e i magistrati e tutti coloro che sono coinvolti in prima persona ad incidere dentro questi luoghi non possono mai travalicare le loro competenze e rinunciare al ruolo educativo istituzionale che le nostre leggi impongono. 

L’articolo 27 della nostra costituzione dice infatti che “le pene devono tendere alla rieducazione del condannato”.

Nelle scorse settimane sono stati presi provvedimenti gravi nei confronti di alcuni operatori del carcere Cesare Beccaria. Sono pesantissimi infatti i reati contestati agli agenti della Polizia penitenziaria (13 arrestati e otto sospesi): maltrattamenti a danno di minori, concorso nel reato di tortura, concorso nel reato di lesioni in danno di minori, un caso di tentata violenza sessuale. Ci auguriamo che ciascuno possa dimostrare la propria innocenza.

Nel frattempo, quello che ci fa pensare, circa questa vicenda, è che se si è arrivati a questo punto tutti i soggetti che ruotano intorno al carcere minorile devono interrogarsi perché se un sistema  nel suo complesso non  riesce  a fermare queste “storture” “devianze” nella gestione carceraria, significa che tutti hanno fallito proprio in quel difficile compito di tentare l’impossibile nel favorire la rieducazione di un ragazzo che ha già un vissuto di violenza e delitti.

Senza dimenticare che le responsabilità penali sono sempre personali, di certo alcuni fatti e decisioni prese negli ultimi anni hanno “facilitato” l’origine di questa situazione: investimenti insufficienti, personale ridotto e con turni massacranti, mancanza di una Direzione stabile, mancanza di operatori sociali nella pianta organica del carcere, mancanza di formazione adeguata agli agenti operativi e in collaborazione con gli educatori.

Inoltre è un dato di fatto che oggi al Beccaria dopo le 16.30 – 17.00 non si svolgono attività educative (club di lettura, arte, musica) e quindi rimane solo il rapporto tra le guardie e i ragazzi fino al mattino successivo.

È vero, in gran parte, si tratta di ragazzi “incollocabili”, cioè ingestibili, imprendibili e a volte inavvicinabili; persone difficili, capaci di provocare, spesso si rifiutano, sono ribelli a qualsiasi regola e danneggiano a volte la struttura…. 

Serve pazienza, metodo, personale adeguatamente formato e collaborazione fra tutti. Negli ultimi anni sono anche cambiate le tipologie di minori passando dal mondo della tossicodipendenza a quello dei minori stranieri non accompagnati, giunti a volte in modo rocambolesco sul territorio e facile manovalanza della criminalità organizzata.

Tutto questo è sacrosanto ma tutti noi dovremmo ricordarci che ciò che loro sono oggi dipende in gran parte da ciò che hanno vissuto in passato, in famiglia, dipende dalle esperienze vissute in strada e dai compagni incontrati sul proprio cammino, dalla presenza assenza di adulti positivi accanto a loro ecc… 

Con questi ragazzi non serve “buttare via la chiave” come qualcuno anche in questa occasione ha suggerito.

Non serve usare altra violenza con persone che ne hanno già conosciuta moltissima.

Altrimenti come si potrà pretendere che uscendo dal carcere impareranno ad apprezzare la fiducia e il rispetto per gli adulti e i coetanei?

Serve pazienza, metodo, personale adeguatamente formato e collaborazione fra tutti.

Solo così si può realizzare il miracolo di “riportare alla vita sociale” un ragazzo che per svariati motivi è in balia di un disagio profondo.

Quindi ci auguriamo tutti che venga fatta chiarezza per quanto riguarda le responsabilità e i reati commessi e che si possa al più presto ristabilire un minimo di rispetto e di fiducia reciproca nel rispetto dei ruoli, ma soprattutto tutti possano cogliere l’occasione per interrogarsi sulle tante comunità per minori e sulla realtà  carceraria presente nei nostri territori.

Non ci resta infine che chiedere perdono ai ragazzi coinvolti in questa triste vicenda per non essere stati degni della loro fiducia e non avere saputo intercettare il loro dolore. Mentre un pensiero, va anche agli agenti di Polizia penitenziaria coinvolti: senza giustificare gli atti criminosi se verranno accertati, dentro di noi si fa spazio un sentimento di “com-passione” anche per loro, forse troppo a lungo lasciati soli ad affrontare turni di servizio a volte doppi e di difficilissima gestione.